Discussione generale
Data: 
Lunedì, 26 Giugno, 2023
Nome: 
Valentina Ghio

A.C. 1238

Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, questo decreto che discutiamo oggi in Aula è stato, a nostro avviso, impropriamente definito decreto Lavoro, perché le misure che avete proposto, che il Governo ha proposto non vanno nella direzione auspicata e necessaria, ossia quella di offrire dignità di lavoro e di vita alle persone, ma aumentano la precarietà, non sostengono l'emersione della povertà, anzi riducono fortemente le misure in essere e non risolvono i nodi centrali di sviluppo delle politiche del lavoro.

Mi rivolgo al rappresentante del Governo, per suo tramite, Presidente: vedete, ci caratterizzano proprio due visioni diverse del lavoro e della società. La lotta alla povertà diventa per voi contrasto ai poveri, l'impostazione di misure che dovrebbero promuovere la crescita di lavoro non è, in alcun modo, accompagnata da misure strutturali di crescita dei salari, perché l'intervento – accennato - del taglio del cuneo fiscale è totalmente insufficiente rispetto all'impatto sui salari, che non crescono da troppo tempo e che reggono sempre meno il forte impatto che l'inflazione sta provocando sui lavoratori dipendenti e l'impatto dei vostri tagli su sanità pubblica e sul Fondo affitti, per fare qualche esempio, aggravano questa situazione.

Abbiamo provato, con i nostri interventi, con gli emendamenti dei colleghi in Commissione a portare migliorie, anche a rendere strutturale questa misura episodica, ma avete respinto anche questo nostro tentativo. Ancora una volta avete dimostrato di non avere al centro delle vostre idee, della visione politica di Paese, dell'azione politica appunto, il contrasto alla povertà, la rimozione delle ingiustizie, delle disuguaglianze, visione che, invece, è alla base della nostra idea politica, di una società solidale, dove si cresce solo se lo si fa insieme, non acuendo i divari.

Con questo decreto avete reso tangibile la vostra mancanza di consapevolezza sulle grandi difficoltà in cui vivono tante famiglie oggi e tanti cittadini. L'abolizione tout court del reddito di cittadinanza, senza proporre misure alternative realmente adeguate, realmente caratterizzate dall'universalità propria di misure analoghe di reddito minimo, che esistono da tempo nei principali Paesi europei, evidenzia in voi la volontà di concepire la povertà come un fatto che va accettato e non combattuto. E noi ci ribelliamo, invece, a questa visione iniqua della società.

Anche i dati presentati in questi giorni dall'Ufficio parlamentare di bilancio - che ha calcolato che, su 1,2 milioni di nuclei familiari che hanno percepito il reddito, oltre 400.000 (oltre il 33 per cento) rimarranno esclusi dalla nuova misura non perché non sono più poveri, ma perché al loro interno, all'interno di questi nuclei non sono presenti soggetti tutelati, codificati dalla nuova misura - hanno dato un'immagine chiara degli effetti devastanti su un'ampia parte di popolazione prodotti da questo intervento. E non bastano gli emendamenti tardivi che avete presentato in corso d'opera, peraltro in modo nemmeno del tutto condiviso fra voi. In Commissione è stato dato uno spettacolo eloquente in merito alla spaccatura al vostro interno su temi così importanti che riguardano la vita delle persone.

Quindi, con questo provvedimento, altro che inclusione: avete creato ulteriori e ampi divari sociali, introducendo misure categoriali che creano nuove discriminazioni fra i cittadini, fra le famiglie in povertà, in base a criteri che, peraltro, non riguardano neanche le condizioni di reddito, le condizioni patrimoniali, come dovrebbe essere corretto in questo caso, ma riguardano il numero di figli, le età anagrafiche. Il sistema delineato esclude, ad esempio, i lavoratori fra i 18 e i 59 anni, che fino ad oggi percepivano il reddito, che non appartengono a famiglie con minori, con disabili, con over 60. Un giovane precario, di 30 anni, per esempio, pur in possesso dei requisiti richiesti attualmente e con forti difficoltà di occupabilità che persistono - perché è di questo che stiamo parlando, i dati e le analisi lo hanno evidenziato con chiarezza -, non riceverà più alcun sostegno. E come pensate di sostenere la sopravvivenza di quel giovane senza reddito e con scarse possibilità di occupabilità? È questa, quindi, la vostra visione inclusiva di politiche del lavoro, della società?

A questa discriminazione di base si aggiungono, poi, modalità di attivazione lavorativa rivolte ai beneficiari delle misure che, addirittura, tornano indietro rispetto alla valorizzazione della qualità del lavoro, ad esempio, obbligando ad accettare proposte di lavoro per il mantenimento del sussidio su tutto il territorio nazionale senza tener conto del rapporto con i costi per la gestione della sopravvivenza, a partire dai costi per gli affitti - ne abbiamo parlato tanto in quest'Aula, in Commissione, nelle varie Commissioni -, nell'assenza totale di una politica per la casa, che vada ad incidere, soprattutto in quelle città che offrono più possibilità di lavoro, a costi proibitivi e incompatibili con uno stipendio normale.

Pertanto, complessivamente, questa prima parte del provvedimento in esame rende davvero strutturale, evidente, la retorica della povertà come colpa del singolo che non si dà abbastanza da fare, invece che contribuire a dare attuazione piena alla nostra Costituzione, che attribuisce alla società e, quindi, allo Stato la responsabilità collettiva e, quindi, l'onere di mettere in campo politiche pubbliche per combattere la povertà, per consentire alle persone di emergere.

E che dire delle misure introdotte sui contratti a termine, che vanno esattamente in senso contrario rispetto ad un'inversione di rotta, di contrasto alla precarietà? Anche in questo caso, alcune considerazioni, come quelle eminenti del Governatore della Banca d'Italia del 31 maggio, ci dicono che, dopo 5 anni, la quota di giovani che resta precaria rimane al 20 per cento e che, oggi, la precarietà e i contratti a termine riguardano oltre 3 milioni di persone. Un numero altissimo, che contribuisce a rendere precario il futuro del nostro Paese.

E voi che fate? Cercate di invertire la rotta, di ridurre la precarietà crescente? Niente di tutto questo. L'intervento sui contratti a termine, oltre a mantenere le prerogative esistenti, amplia le maglie, fino a consentire, in assenza di contrattazione, di far definire la causale fra le parti con una evidente diversità di potere contrattuale in campo. Come può il giovane precario che spera in un rinnovo avere lo stesso potere contrattuale del suo datore di lavoro ovvero quello che il rinnovo lo decide? Di fatto, siamo di fronte, con questo provvedimento, ad una vera e propria liberalizzazione dei contratti a termine fino a 24 mesi, siamo di fronte ad una individualizzazione spietata del rapporto.

Così come va in questo senso la continua elevazione del limite economico dei voucher in alcuni settori, da 5.000 a 10.000, ora a 15.000 euro annui. Insomma, in un quadro di disuguaglianze crescenti, di bassa qualità del lavoro, che comporta nuova insicurezza per i giovani e i meno giovani, di fronte alla necessità di un sostegno alla natalità di cui tanto vi riempite la bocca in ogni contesto, ma per la quale è evidente a tutti che occorrono veri interventi di sostegno al lavoro e al lavoro delle donne, di cui in questo provvedimento non troviamo traccia, voi che fate? Aumentate in ogni modo la precarizzazione del lavoro.

Quanto - ultimo argomento che tratto - al potenziamento delle misure di politiche del lavoro e dei servizi all'impiego, non si è provveduto con questo decreto a mettere in atto il pezzo mancante, questo sì, del percorso di sostegno all'occupabilità previsto da misure, come quelle del reddito di cittadinanza. Questo era un punto in cui dimostrare di incidere, invece avete fatto, sì, una cosa significativa, come l'attribuzione ai servizi sociali dei comuni della valutazione multidimensionale della persona, senza, però, mettere risorse per i comuni, senza consentire loro di investire in assunzione di assistenti sociali, quindi lasciando sulle spalle già affaticate pesantemente dei comuni un onere senza copertura aggiuntiva. Non appaiono risorse su questo, non appaiono impegni concreti e le politiche del lavoro e i servizi per l'impiego si presentano oggi molto differenziati, a macchia di leopardo, sul territorio nazionale, dando possibilità di sostegno diverse alle persone a seconda di dove risiedono, percorso che peggiorerà notevolmente, se porterete avanti il percorso di autonomia differenziata.

Quindi, in conclusione, signor Presidente, questo decreto ci appare carente e pericoloso. Non avete affrontato il tema dei salari, a partire dal salario minimo; non si parla di misure di rinnovo dei contratti collettivi; non avete messo in atto misure per la tutela dei lavoratori in caso di delocalizzazione e abbiamo diverse situazioni calde in tal senso nel nostro Paese; avete peggiorato la trasparenza e l'informazione nei rapporti di lavoro, indebolendo il potere contrattuale del lavoratore; non avete invertito la tendenza della precarizzazione, anzi, l'avete aumentata; non avete colto l'occasione per il ripristino di Opzione donna, che più volte abbiamo chiesto e non avete messo le basi per rendere omogenei i servizi per l'impiego su tutto il territorio nazionale. Niente di tutto questo. Avete usato questo decreto per dividere i poveri di serie A dai poveri di serie B, per costruire una società sempre più precaria e diseguale, senza un'idea di politica industriale che faccia crescere i posti di lavoro. Non si combatte la povertà riducendo le risorse, ma stanziandone di nuove, rendendo i servizi più efficienti e facendo sì che i sostegni non siano discriminanti. Con questo decreto avete soltanto contribuito, ancora una volta, ad aumentare le vite precarie di tante e di tanti nel nostro Paese e tutto questo per noi è, francamente, inaccettabile.